Pubblicato su: www.teleborsa.it
Il problema dei bonus
Dando un’occhiata all’interno del grande coacervo di incognite, dubbi e perplessità che ha caratterizzato l’attuale crisi, una delle poche certezze è costituita dal fatto che, specialmente nella fase iniziale, gli enormi “bonus” concessi ai managers delle primarie banche USA abbiano contribuito in maniera determinante a conferire ulteriore “velocità di rotazione” al folle meccanismo speculativo che, partendo dai mutui casa “subprime” ha, al contempo, inondato i mercati di titoli sintetici “infetti” e riempito i forzieri delle banche di ingentissime commissioni.
E questo per il semplice fatto che il fiume di danaro in gioco ha portato i managers bancari ad abbracciare anima e corpo questo meccanismo speculativo oltrepassando ogni soglia di prudenza sia nella concessione del credito, sia nell’utilizzo massiccio ed indiscriminato di strumenti finanziari ad elevatissimo rischio: ovviamente, così facendo, gli obiettivi di breve periodo venivano raggiunti, i bonus scattavano, ma si iniettava nel sistema il micidiale “virus” che avrebbe poi scatenato la più grande crisi dal 1929.
Purtroppo, contro ogni logica, ad oltre due anni dalla crisi il problema dei bonus, ancorché più volte affrontato, non pare affatto risolto: guardando agli USA, infatti ci si accorge che, escludendo gli istituti che hanno ricevuto aiuti pubblici, un buon numero delle altre banche (sia commerciali che di investimento) continuano tranquillamente a versare enormi bonus al proprio top management.
In realtà esistono alcune eccezioni costituite, ad esempio, da Bank of America, JP Morgan e Goldman Sachs che hanno ridotto la retribuzione variabile all’alta direzione, tuttavia si tratta di decisioni prese in totale autonomia, spesso più per motivi di immagine che di sostanza e, comunque, al di fuori di ogni regolamentazione di carattere generale che ne possa garantire la ripetitività nel tempo. Senza contare che, in prospettiva, il problema è destinato ad accrescersi in quanto le citate grandi banche, che hanno usufruito del sostegno del denaro pubblico durante la crisi, stanno facendo a gara per restituire al Governo gli aiuti ricevuti, anche per ottenere nuovamente mano libera sul fronte delle politiche retributive.
Anzi, a ben vedere, il problema dei bonus ha assunto anche aspetti paradossali in quanto l’inerzia dei “regolamentatori” USA non solo non ha portato ad alcuna soluzione di rilievo, ma ha addirittura generato un importante vantaggio competitivo per le Banche USA nei confronti, ad esempio, del sistema bancario europeo.
Infatti, contrariamente a quanto successo oltreoceano, la problematica connessa alla regolamentazione dei bonus ai top managers bancari è stata affrontata con una certa serietà dagli Organismi comunitari per cui le banche europee, da una parte, sono state sottoposte già da tempo al “pressing” delle proprie banche centrali e, dall’altra, saranno assoggettate, nel corso del 2011, al rispetto di precise direttive già decise dall’Europarlamento.
Queste norme, volte a sganciare i bonus dalla logica del “mordi e fuggi” per legarli piuttosto a risultati di medio periodo, prevedono, ad esempio, che solo il 20/30% della retribuzione variabile possa essere incassata subito (il resto verrebbe corrisposto in più anni) e che la quota in contanti non possa superare il 50% del bonus: la restante parte dovrà essere invece espressa in azioni.
Ma l’aspetto più qualificante delle nuove direttive consiste nella previsione che una buona “fetta” dei bonus differiti nel tempo possa essere recuperata dalla banca qualora i risultati previsti non vengano raggiunti anzi, più precisamente, una quota dei bonus assumerà proprio la qualità di “contingent capital” ossia di capitale prontamente utilizzabile dalla banca in caso di conclamata difficoltà.
Tornando agli Stati Uniti, solo ora, pressati dalla nuova regolamentazione europea, la SEC e la Federal Reserve (in realtà anche agevolate dai maggiori poteri conferiti dalla legge Dodd-Frank), stanno concretamente valutando la possibilità di emanare direttive che impongano alle banche alcuni limiti nella concessione dei bonus ai propri top managers. I parametri di riferimento, verosimilmente, non si discosteranno di molto da quelli individuati dagli europei tuttavia, dato l’enorme peso delle lobby bancarie, i tempi potrebbero essere anche assai lunghi ed il raggiungimento dell’obiettivo finale non così scontato.