La sofferenza delle piccole-medie imprese

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Il modello a ragnatela e a distretti industriali

La caratteristica peculiare del sistema produttivo italiano è costituita dalla presenza di una grande concentrazione di piccole imprese: nel nostro Paese si contano oltre 4 mil di PMI e micro imprese che costituiscono oltre il 98% del totale delle aziende residenti.

Un tessuto industriale composto in prevalenza da microelementi genera sicuramente una elevata capacità di rispondere in maniera rapida e flessibile alle richieste provenienti dai mercati, tuttavia tende a sviluppare, nel contempo, alcuni aspetti negativi quali una minor propensione all’investimento in nuove tecnologie, una minor attenzione allo sviluppo ed alla ricerca, una incapacità di cercare nuovi mercati di sbocco, nonché una scarsa internazionalizzazione. Tutti fattori che, nel lungo periodo, tendono a far perdere, spesso irrimediabilmente, competitività alle aziende.

Le PMI italiane, in tempi “normali”, sono riusciti a limitare questi rischi organizzando la propria attività secondo precisi modelli in grado di creare sinergie ed eliminare le difficoltà connesse alle piccole dimensioni ed allo standing alone; i principali modelli nell’ambito dei quali per molti anni le nostre PMI hanno prosperato sono:

– il modello “a ragnatela” caratterizzato da uno stretto legame, non solo di natura geografica, ma anche sociale, instaurato tra una azienda di grande dimensioni (in genere fortemente proiettata sull’estero), ed un network di aziende di piccole o piccolissime dimensioni che effettuano lavorazioni particolari esternalizzate dalla azienda madre (vedi il modello marchigiano);
– il modello dei “distretti industriali” nell’ambito dei quali una fitta rete di piccole imprese, caratterizzate da produzioni simili o complementari, traggono la loro forza dalle sinergie tecnologiche ed organizzative che vengono a determinarsi nell’area.
Più in particolare questi distretti, sorti principalmente in settori dove non sono necessarie grandi economie di scala quali la produzione di beni per la casa (mobili, ceramiche) e per la persona (occhiali, gioielli etc.), hanno determinato:

  • un incremento delle capacità e delle competenze accumulate nel tempo all’interno del distretto;
  • una diffusione delle competenze e delle informazioni tra le aziende del comprensorio;
  • una elevata mobilità della forza lavoro entro il distretto con conseguente maggior flessibilità ai flussi congiunturali;
  • una collaborazione tra aziende vicine, pur nell’ambito di una sana concorrenza, dettata anche dalla presenza di strette relazioni, non solo professionali, ma anche di natura familiare.

Tuttavia l’attuale crisi, caratterizzata da una profondità senza precedenti (stiamo entrando nel 6° anno consecutivo), nonché da una rara ampiezza avendo contemporaneamente investito gli Stati, i sistemi bancari ed il sistema imprese, non solo ha minato il funzionamento dei modelli descritti, ma ha messo seriamente in discussione la sopravvivenza stessa del sistema delle PMI italiane.

Al fine di avere una idea delle dimensioni dell’attuale congiuntura negativa, è utile ricordare che le previsioni di tutti gli Organismi per il 2012 sono in costante peggioramento con Confindustria e Banca d’Italia che ipotizzano una decrescita compresa tra l’1,9 % ed il 2,4% . Probabilmente nel 2013 l’Italia sarà, tra i Paesi europei non in crisi conclamata, uno dei pochi che evidenzierà un PIL negativo. La conseguenza di tutto ciò è costituita da una disoccupazione ai limiti del 10%, da una disoccupazione giovanile al 25%, nonché da un PIL pro capite (indicatore di benessere) in decremento del 10% rispetto al periodo ante crisi.

Dunque, come si accennava, il comparto che maggiormente ha risentito dell’attuale congiuntura è proprio quello delle piccole medie imprese per tutta una serie di motivazioni sia di natura prettamente economica che finanziaria.

Più in particolare:

  • nell’ambito di una crisi così profonda e generalizzata sia il modello a “ragnatela”, sia il modello a “distretti industriali”, validi in passato, non sono più in grado di compensare disfunzioni e carenze alla base di una progressiva erosione di competitività.
  • Una carenza strutturale della domanda interna ed estera quale l’attuale, può essere compensata solamente grazie: a) alla vendita di prodotti ad alto valore aggiunto e tecnologicamente avanzati derivanti da anni di investimenti in sviluppo e ricerca; b) all’export verso nuovi mercati di sbocco con particolare riferimento agli “emergenti”. Il problema è che ambedue le soluzioni prospettate, data la loro complessità, non si improvvisano, ma devono esser costruite nei periodi di “vacche grasse” in maniera da poter sostenere il fatturato aziendale nei momenti difficili (durante la crisi gli investimenti tendono, ovviamente, a contrarsi). Da questo punto di vista l’attuale crisi ha trovato le nostre aziende completamente impreparate a fronteggiare la situazione mentre, ad esempio, l’export tedesco è passato dal 34% del PIL nel 2000 al 54% del 2010.
  • Oltre che per motivi connessi al calo della domanda, le nostre PMI soffrono un peso fiscale decisamente maggiore delle concorrenti europee.
  • le PMI italiane sono strutturalmente e storicamente sottocapitalizzate e quindi molto dipendenti dal supporto del sistema bancario (in Italia le aziende dipendono per il 70% dalle banche, all’estero per il 50%). Nel momento in cui il nostro sistema bancario è andato sotto pressione a causa della necessità di ricapitalizzarsi secondo i parametri di Basilea, nonché della necessità di fronteggiare il deterioramento della qualità del credito (le sofferenze delle prime 10 banche hanno superato nel 2011 i 105 mld di Euro), gioco forza il sostegno finanziario alle aziende è diventato meno fluido e più caro;
  • il problema del credit crunch tende, tra l’altro, ad aggravarsi per le PMI in quanto il sostegno fino ad oggi fornito dalle banche piccole e minori, meno soggette ai vincoli patrimoniali legati alla qualità del credito, inizia a venir meno sull’onda lunga di una crisi persistente: il credito deteriorato delle banche piccole è passato dal 2% degli impieghi del 2006, all’attuale 8%. Tende così a venir meno la funzione di ammortizzatore aziendale fin qui svolto dalle banche di minori dimensioni nei confronti delle PMI spesso in “debito di ossigeno”.
  • Le PMI che lavorano con la Pubblica Amministrazione hanno visto la crisi di fatturato tramutarsi in una ben più pericolosa crisi di cassa a causa dei lentissimi pagamenti effettuati dalla P.A. stessa. E’ evidente che se la P.A tedesca paga le aziende fornitrici a 60 giorni, la P.A francese a 90 giorni e la P.A italiana a 150/180 giorni (con punte di 5 anni per alcune Asl napoletane e calabresi), oltre a crearsi un serio problema di concorrenza tra aziende europee, si creano, data la drammaticità della situazione, tutti i presupposti per una serie di default a catena.

L’unica nota positiva è che la Commissione affari finanziari dell’Europarlamento ha previsto la creazione di un “PMI Supporting Factor“, ossia di un correttivo che andrebbe a mitigare l’assorbimento di capitale richiesto alle banche a fronte di finanziamenti concessi, appunto, alle Piccole – Medie Imprese.

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