Pubblicato su: www.teleborsa.it
Siamo alla fine della crisi?
Forse è ancora troppo presto per brindare alla fine della “seconda grande crisi” perché è indubbio che, nonostante evidenti segnali di miglioramento (la stima del PIL dei Paesi più industrializzati è in deciso aumento ed il PIL cinese nel 2010 è atteso in incremento del 10%!), alcune criticità del sistema economico mondiale appaiono a tutt’oggi più sopite che risolte.
In effetti, bisogna ammettere, non è facilissimo concedersi il “sonno del giusto” con una mole di derivati più o meno pari a circa 10 volte il PIL mondiale che vaga senza meta sopra le nostre teste, né è facile rilassarsi non conoscendo esattamente le vere “intenzioni” dell’enorme massa di liquidità pompata a viva forza dai governi nel sistema finanziario internazionale. Creare questa ondata di liquidità è stata verosimilmente l’ultima arma per ridare ossigeno ad una economia asfittica e sull’orlo della deflazione, tuttavia “il mostro” così creato – tuttora prigioniero nei forzieri della banche, viste le prospettive ancora incerte – non sembra aspettare altro che un cambio di aspettative per inondare i mercati e trasformarsi in una iperinflazione senza precedenti.
Se dunque – ancorchè confortati dal patrio motto “io speriamo che me la cavo”- abbiamo ancora legittimi dubbi su come andrà a finire, pochi dubbi permangono, invece, su come il “virus” della crisi sia stato generato.
Il problema è che il virus, al contrario della celebre crisi del 1929, questa volta è nato in laboratorio e, più in particolare, nel più attrezzato, innovativo e privo di scrupoli dei laboratori: quello della finanza americana; e, come noto, i virus generati in laboratorio sono spesso più temibili di quelli presenti in natura. Qui, appunto, tra fumi ed alambicchi, gli ingegneri finanziari delle banche (in special modo delle cosiddette banche di investimento) hanno individuato nei mutui casa la materia prima ottimale su cui lavorare (potevano essere anche patate purchè, per qualche motivo, fossero in grado di generare commissioni) ed è qui che viene collaudata per la prima volta una specie di enorme fornace dove trasformare i nostri mutui in altri prodotti artificiali (ad esempio obbligazioni), sempre garantiti dai mutui stessi, ma ora capaci anche di generare eccellenti commissioni per la banca.
Nel corso del loro lavoro gli ingegneri si accorgono però che la loro fornace necessita di essere continuamente alimentata da “badilate” di mutui casa perché il meccanismo non tollera nè rallentamenti nè soste, pena il suo arresto definitivo. Il problema diventa allora quello di trovare sempre nuovi mutui casa – non importa se sempre più rischiosi perché i buoni clienti iniziano a scarseggiare – di trasformarli nella fornace appunto in nuovi prodotti (le famose cartolarizzazioni) e di piazzare questi ultimi rapidamente sul mercato al fine di trasferire agli investitori, oltre ai prodotti così creati, anche gli accresciuti rischi di insolvenza legati ai mutui di origine.
In questa maniera le banche raggiungono, al contempo, il duplice scopo di non dover più “perdere tempo” a valutare l’affidabilità della propria clientela e di ottenere dal mercato, attraverso la vendita dei nuovi prodotti, nuova liquidità per erogare nuovi mutui perpetuando, “ab aeterno”, il processo.
Sistemati dunque i problemi produttivi, gli ingegneri possono dedicarsi ai problemi di natura commerciale e così facendo devono prendere atto che piazzare sul mercato una simile quantità di “prodotti sintetici”, tra l’altro legati a doppio filo a mutui sempre più rischiosi, è obiettivamente difficile: servono con urgenza dei “compari” che aiutino il “piazzamento” senza però allarmare in nessun modo i mercati.
L’entrata nel business delle società di rating diventa a questo punto determinante: queste società, infatti, concedendo il loro “imprimatur”, consentono ai nuovi prodotti, ancorché sempre più a rischio, di penetrare come “cavalli di Troia” non solo nei portafogli degli operatori specializzati, ma anche nei portafogli dei Fondi Pensioni e dei Fondi Comuni creati invece per gestire (con rischi minimi) gli interessi dei piccoli risparmiatori meritevoli di tutela (le categorie delle vedove e gli orfani dicono gli anglosassoni).
Il meccanismo funziona così bene che le società di rating continuano a marchiare i prodotti come buoni anche quando palesemente la situazione si sta deteriorando ed i prodotti tanto buoni non lo sono più.
Si ricorda, a questo proposito, che S&P e Moody’s hanno declassato la Lehman da “emittente sicuro” ad “emittente insolvente” solo dopo che la banca americana aveva avviato le procedure di amministrazione controllata (con una discesa di 16 gradini in un solo giorno: la cosiddetta “caduta degli angeli”).
Sistemati finalmente gli aspetti produttivi e commerciali, rimane da curare l’aspetto relazionale così da assicurarsi che il funzionamento della fornace, veramente efficiente e redditizio, non venga messo in pericolo da qualche “insulso” intervento esterno: per stare tranquilli serve, dunque, l’appoggio del potere politico che liberi le banche da eccessivi vincoli e limiti di natura patrimoniale e tenga, al contempo, a bada gli organi di controllo e di vigilanza (in verità a quel momento piuttosto distratti).
Anche questo problema, tuttavia, viene agilmente superato grazie alle caratteristiche stesse della materia prima utilizzata in laboratorio: il principio del “mutuo casa facile, poco costoso e per tutti” risponde, infatti, magnificamente anche alle esigenze del potere politico perché porta consensi e distrae l’elettorato di base (il sogno americano della casa) dalle conclamate carenze in termini di walfare e tutela della salute. Così, la potente lobby delle banche, che già aveva ottenuto, grazie all’accordo politico, una serie di importanti successi tra i quali, nel 1999, il Gramm act che limitava il controllo pubblico sulle banche e, nel 2000, la deregolamentazione dei derivati (firmata Phil Gramm), raggiunge ulteriori traguardi. In particolare, grazie alla situazione creatasi, nel 2004, le grandi banche d’investimento ottengono di poter fissare autonomamente la quantità di patrimonio da detenere a fronte dei propri affidamenti utilizzando, tra l’altro, ciascuna propri modelli.
Per inciso si ricorda che il senatore Gramm, benché abbia contribuito non poco al progressivo sgretolamento delle difese del sistema finanziario USA (e quindi alla successiva crisi), non è l’attuale segretario al tesoro americano unicamente perché Obama è riuscito in extremis a prevalere su Mc Cain.
La nostra fornace, a questo punto, lavora a pieno regime su due turni distribuendo ampi guadagni a destra ed a manca, ma poiché l’avidità genera altra avidità, si decide che la velocità del meccanismo possa essere ancora aumentata: si tratta di trovare un propellente, un additivo in grado di dare ulteriore spinta alla macchina. Questo propellente si trova ed è costituito dai famigerati” bonus ai managers ” che vengono tarati a livelli talmente alti da scardinare ogni residua remora prudenziale da parte della classe dirigente bancaria che, a questo punto, si getta anima e corpo a sostegno del progetto.
Così la fornace lavora, lavora finchè il meccanismo, inevitabilmente, si inceppa e crolla definitivamente: la “grande fornace” non solo si spegne, ma va in pezzi e trascina con se Banche commerciali, Banche di investimenti, Assicurazione. E, soprattutto, il crollo finanziario contagia rapidamente il mondo dell’economia reale.
Il disastro che ne consegue è ormai ben noto a tutti e non merita ulteriori approfondimenti: basterà dire, tanto per capire di che cosa stiamo parlando, che il costo dell’attuale crisi è stato stimato in un recente studio in circa 4500 mld di $ appena al di sotto dei 4800 mld (in moneta attualizzata e quindi comparabile) spesi per la 1° e 2° Guerra mondiale messe insieme, nonché dei 1200 mld di $ spesi per la Guerra del Vietnam e di Corea.
Dunque, se per crisi di avidità si deve intendere quella crisi ove è l’uomo che ne crea deliberatamente i presupposti tentando di ottenere, da una parte, facili guadagni e, dall’altra, il trasferimento ad altri (o la traslazione nel tempo) dei rischi connessi, quella attuale è probabilmente la più grande crisi da avidità dell’era moderna.
E che l’attuale sia una vera crisi di avidità è dimostrato anche dal fatto che l’attuale crisi finanziaria non ha causato l’implosione (salvo successivi salvataggi pubblici) dei principali sistemi bancari del mondo civile, ma solamente di quelli dove l’avidità aveva preso il posto della sana gestione del credito. Tanto è vero che, mentre negli USA si sono già registrati 15 fallimenti bancari dal 1° Gennaio 2010 e ben 140 nel 2009, il virus dei mutui subprime non ha trovato spazi nel sistema bancario canadese ancorché vicinissimo geograficamente agli USA.
Infatti qui il virus si è scontrato con un insieme di banche ben patrimonializzate, poco inclini alla finanza innovativa, ben strutturate a livello di controlli interni e attentamente sorvegliate dagli organi di vigilanza centrali. In fondo, anche da noi, ” il meccanismo della fornace” non ha attecchito in modo particolare: forse nel corso del 2009 alcune banche italiane hanno per un po’ abbassato la soglia di prudenza nella concessione dei mutui, ma quasi subito l’impostazione di base, la vecchia scuola dei nostri deliberanti e direttori ha permesso di riprendere il controllo della situazione; e poi, tutto sommato, in Italia il potere politico non ha mai ritenuto particolarmente interessante cavalcare il principio dei “mutui casa facili, poco costosi e per tutti” e, quindi, non ha mai dovuto fare grandi pressioni a riguardo sulle banche; alla peggio, semmai, qualche singolo politico ha chiesto alle banche un occhio di riguardo per qualche singolo elettore, ma questo mi pare, in fondo, un fenomeno, magari irrituale, ma assai meno preoccupante di quello legato ai “prodotti da fornace”.