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La sfida di Basilea 3
Già da qualche mese tutte le principali banche stanno cercando di capire e stimare l’impatto che le modifiche all’attuale modello di Basilea (la cosiddetta Basilea 3) potrà avere sul sistema finanziario nel suo complesso e quindi, conseguentemente, su di una economia reale già stressata dall’attuale crisi economica.
Come noto, queste modifiche, seguendo le indicazioni del Comitato di Basilea, andranno a toccare punti quali il miglioramento della quantità e qualità del patrimonio di vigilanza detenuto dalle banche, la previsione di maggiori vincoli all’indebitamento complessivo degli istituti di credito, nonché l’eliminazione o riduzione della famosa “prociclicità” di “Basilea 2″, ossia dell’attitudine dell’attuale modello a trasferire in maniera amplificata gli effetti della crisi su banche ed aziende. Tuttavia, pur prescindendo per il momento da questi test di impatto ancora in fase di valutazione, è necessario evidenziare che, qualunque sia il risultato degli stessi, le correzioni di Basilea 3 andranno, comunque, a poggiare su un modello (quello di Basilea 2) ancora in itinere, non perfettamente rodato, e caratterizzato da alcune inefficienze “strutturali” ancora non risolte.
Il timore è allora legato al rischio che le correzioni di Basilea 3 finiscano per esaltare ed amplificare queste inefficienze rendendo anche il nuovo modello instabile e non correttamente funzionante. Più in particolare, il punto dolente dipende dal fatto che il modello di Basilea 2 racchiude in sé un tipo di problematica meno trattata e, forse per questo più subdola, che rallenta ed ostacola la sua comprensione e la sua “accettazione” da parte dei soggetti coinvolti ed in particolare da parte degli imprenditori. Detta problematica appare essenzialmente connessa alla diversa velocità con cui gli attori principali – banche da una parte ed imprese (e consulenti aziendali) dall’altra – si muovono lungo il percorso tracciato dal modello di Basilea 2 che, è utile ricordare, tende a stabilire, banca per banca, una stretta correlazione tra “patrimonio di vigilanza” richiesto e corrispondente rischiosità del portafoglio imprese. Va da sé che “l’optimum “, in termini di funzionamento del modello, sarebbe costituito da un movimento sincronizzato tra le diverse categorie (banche, imprese e consulenti) abbinato ad un analogo movimento all’interno di ciascuna categoria (ad esempio tra banca e banca).
In realtà, al momento attuale, questo è ben lungi dal verificarsi sia per motivazioni di ordine “tecnico” che per motivi di natura opportunistica. Per quanto concerne, infatti, la “categoria banche”, gli elevati costi degli investimenti correlati all’adozione dei sistemi avanzati di Basilea 2 hanno di fatto imposto una suddivisione del sistema bancario in due grandi raggruppamenti che si muovono, appunto, a velocità diverse.
Da una parte, si è venuto a creare un insieme di banche (composto da molti dei principali gruppi italiani) che ha ottenuto da banca d’Italia l’autorizzazione a determinare il proprio patrimonio di vigilanza utilizzando i sistemi avanzati previsti da Basilea 2. Questi soggetti, possono calcolarsi “in casa”, ancorchè con forti limitazioni imposte da Banca d’Italia, le dimensioni del patrimonio di vigilanza necessario a fronteggiare la rischiosità del loro specifico portafoglio clienti; conseguentemente, a fronte di un portafoglio poco rischioso corrisponderà un patrimonio di vigilanza di dimensioni più contenute e viceversa. Indicheremo per comodità queste banche come “advanced” in quanto utilizzano il primo dei due sistemi avanzati (detto “foundation”).
Dall’altra è presente, invece, un secondo gruppo di banche (di massima di dimensioni inferiori) che denomineremo “non advanced” le quali, a fronte di minori investimenti, possono, a tutt’oggi, utilizzare un modello “generalista” (detto modello “base”) che si limita a calcolare il “cuscinetto patrimoniale” come percentuale degli impieghi della banca senza una diretta correlazione con il rischio insito nel relativo portafoglio imprese. E’ evidente che queste banche, a fronte dei minori investimenti, rinunciano, per il momento, all’ eventuale risparmio di capitale previsto da Basilea 2 per le banche “virtuose” (ossia caratterizzate da un portafoglio aziende poco rischioso) che utilizzino i sistemi avanzati.
Il problema consiste nel fatto che, accettando la contemporanea presenza di due gruppi di banche che attuano il modello di Basilea 2 a velocità diverse (banche “advanced” e banche “non advanced”), si finisce per introdurre un importante fattore di rallentamento nel processo di consolidamento di Basilea 2. Accade, infatti, che la descritta doppia velocità “bancaria” tenderà a trasmettersi al mondo delle imprese generando una doppia velocità “imprenditoriale”: ci si troverà così di fronte ad imprese maggiori (corporate) che per dimensione e tipologia di attività (utilizzo di prodotti complessi, forte componente estera, operatività di banca d’affari) dovranno necessariamente rivolgersi ai principali gruppi bancari (di massima advanced) e quindi dovranno muoversi alla medesima velocità di questi ultimi nel raggiungimento degli “standard” richiesti da Basilea 2.
Dall’altra parte avremo, invece, numerose aziende medio piccole che incrementeranno il “lavoro” sulle banche “non advanced”, o si sposteranno “in toto” verso queste ultime al fine di rifuggire dagli obblighi e vincoli imposti dal modello di Basilea 2 avanzato.
Risulta evidente che fin quando questi imprenditori – pressati dalle banche “advanced” in termini di rafforzamento patrimoniale, evidenziazione di redditività, correttezza e puntualità nel rapporto bancario – potranno godere della “politica dell’accoglienza” attuata dalle banche “non advanced”, gli imprenditori medio – piccoli saranno sempre portati a considerare Basilea 2 come un sistema non solo imperfetto, ma anche facilmente aggirabile in quanto applicato solamente da un numero limitato di banche. Quanto detto, ovviamente, non vuol dire che le banche “non advanced” non considerino il rischio connesso al proprio portafoglio, ma piuttosto che, non essendo queste ultime ancora soggette all’ assioma “+ rischiosità del cliente + patrimonio di vigilanza”, hanno maggiore libertà nella scelta della strategia di rischio da adottare senza che questa impatti in automatico sul “cuscinetto di vigilanza” da detenere.
Se, dunque, la descritta problematica connessa alla doppia velocità può, in effetti, portare ad un certo travaso di clientela dalle banche “advanced” alle banche “non advanced”, appare fondamentale evidenziare come l’imprenditore che si sposti verso la banca” non advanced” in quanto attratto dal miraggio di una gestione “più soft” del rapporto (elasticità nei pagamenti, possibilità di sconfinamento, nessun vincolo relativo alle politiche di bilancio) possa ricadere in quella che definirei “la sindrome della nassa”.
In particolare l’imprenditore che, più o meno allettato dalle politiche commerciali della banca “non advanced”, entri in una spirale di progressivo deterioramento dei propri indici andamentali (con peggioramento del rating ed insorgenza di “warning” sulle varie banche dati), si verrà a trovare, di fatto, “avviluppato come un pesce nella nassa” con scarse probabilità di riuscire ad emergere nuovamente per attingere, in caso di bisogno, al credito offerto dalle banche “advanced” (prospetticamente, come detto, le maggiori). Queste ultime, infatti, devono correlare la concessione del credito al rispetto di una serie di parametri oggettivi (rating, indici andamentali) e soggettivi (questionari qualitativi etc) che l’imprenditore in esame, verosimilmente, non sarebbe più in grado di rispettare.
Da sottolineare, per di più, che la “nassa” sembra aver sviluppato una autonoma “capacità di attrazione” (resa più virulenta dalla crisi) nei confronti dell’imprenditore che si trovi in una situazione “intermedia” caratterizzata da un contemporaneo utilizzo di affidamenti concessi sia da banche “advanced” che da banche “non advanced”.
In questa situazione accade, infatti, che il consentire all’imprenditore di muoversi nell’ambito di un “modus operandi” meno rigoroso non crei immediati problemi alla banca “non advanced” (ad esempio in termini di maggiore assorbimento di capitale di vigilanza), ma potrebbe ripercuotersi molto velocemente sui rapporti tra imprenditore stesso e banca “advanced”. Quest’ultima registrerà, ad esempio, un rapido peggioramento del rating dell’azienda in esame con possibili conseguenze in termini di innalzamento del livello di delibera, difficoltà nel rinnovo degli affidamenti concessi, impossibilità di accedere a prodotti di punta ed, in ultima analisi, appesantimento del pricing applicato.
Da quanto descritto discende direttamente che l’imprenditore si troverà, più o meno spontaneamente, a spostare la sua operatività in capo alla banca “non advanced”, perdendo però così il contatto con il “sistema advanced” ed esponendosi, senza accorgersene, ai descritti pericoli connessi al trovarsi “avviluppato nella nassa”.
E’ importante considerare, oltretutto, che il manifestarsi della citata esigenza di riemersione, con tutte le problematiche connesse, non è affatto evento raro ed improbabile, anzi dipende da alcuni accadimenti che, negli ultimi periodi, si manifestano con una frequenza decisamente superiore rispetto al passato.
L’imprenditore potrebbe trovarsi, ad esempio, coinvolto nell’incorporazione della banca “non advanced” in una “advanced” (Banca Toscana in Monte Paschi, Carifirenze in Intesa, etc.), oppure assoggettato ad una riduzione degli affidamenti come conseguenza indiretta di un intervento degli organi di vigilanza sulla banca “non advanced”, oppure, infine, potrebbe risentire del passaggio strategico della banca stessa dai sistemi “base “di Basilea 2 a quelli “avanzati”.
Quanto detto, ovviamente, non vuole nè incidere nè limitare la sfera decisionale dell’imprenditore, ma vuole, piuttosto, sottolineare come sia importante che la banca attivi un corretto flusso informativo verso l’imprenditore così che lo stesso possa operare delle scelte in piena autonomia, ma nella consapevolezza delle conseguenze, sia positive che negative, che potranno discendere dalle opzioni prescelte.
A questo proposito desta qualche perplessità il comportamento (assolutamente non generalizzabile) di alcune banche “non advanced” prevalentemente di livello locale. Nel caso in esame, infatti, è possibile notare una certa tendenza a sfruttare il malcontento degli imprenditori per Basilea 2 (amplificato dal fenomeno della “doppia velocità)” per porre in essere politiche commerciali decisamente aggressive volte ad “attirare” le imprese fuoriuscite dal circuito delle banche “advanced” o per scelta propria (ricerca di minori vincoli) o in quanto “espulse” in relazione alla loro eccessiva rischiosità.
Posto che l’attivazione di una strategia commerciale “demolitoria” o “negazionista” di Basilea 2, (non e’ inconsueto sentire direttori di banche locali tranquillizzare la potenziale clientela sottolineando che la loro banca non aderisce a Basilea!!) possa anche essere in qualche misura accettata in quanto rientrante in una dialettica concorrenziale, tuttavia risulta evidente che sono da evitare tutti quegli eccessi che possano, anche involontariamente, ingenerare nell’imprenditore una certa confusione portando quest’ultimo a scelte superficiali o prospetticamente imprudenti. In effetti, questi atteggiamenti “border line”, andando ad impattare sulla sfera emotiva del cliente (per questo si è parlato prima di “sindrome”), creano una percezione distorta della realtà e portano subito l’imprenditore a suddividere idealmente le banche in “positive” (che non applicano Basilea 2) e banche “negative” (che la applicano).
In seconda battuta l’imprenditore, effettuata la citata “separazione” tenderà a sviluppare, a livello mentale, una forma di “gratitudine” verso la banca “di accoglienza” che lo porterà ad utilizzare in maniera sostanzialmente acritica il regime “più soft”, consentito dalla banca “non advanced” e ad abbassare la propria soglia di prudenza trascurando le conseguenze connesse all’eventuale peggioramento degli indicatori di rischio (sindrome della nassa, appunto). In questa fattispecie, verosimilmente, l’imprenditore medio piccolo tenderà a percepire il direttore di una banca “advanced” come incapace di valutare correttamente il reale valore della sua azienda ed il direttore della banca “non advanced” come l’espressione del vecchio e sano modo di fare banca imperniato più sui rapporti personali che su fattori oggettivi.
Se, quindi, si vuole che il nuovo modello di Basilea 3 nasca veramente sano e non viziato “ab inizio” dalla presenza al suo interno di virus non ancora conclamati, sarà opportuno non limitarsi solamente a considerare gli impatti sulla patrimonializzazione e sulla redditività delle banche, ma occorrerà altresì ridurre progressivamente la descritta problematica legata alla doppia velocità dell’attuale sistema. In abbinamento a questo intervento sarà comunque indispensabile attivare, al contempo, un importante flusso informativo che, originato dalle banche maggiori, sia in grado di far comprendere agli imprenditori gli aspetti positivi connessi all’utilizzo del modello ed i pericoli insiti nella sottovalutazione delle sue implicazioni. Solo in questa maniera, verosimilmente, Basilea 3 potrà diventare un modello condiviso e potrà evolversi, nei tempi previsti, in un sistema ben funzionante e compiuto e non in un “gigante dai piedi di argilla”.