Pubblicato su: www.teleborsa.it
Anche l’ultimo bollettino dell’Istat di Ottobre ci conferma come l’inflazione si ostini a non evidenziare alcun segno di risveglio. Verosimilmente, a fine anno, il nostro tasso si posizionerà appena in territorio positivo (+0,2%), non molto distante dal dato previsionale europeo stimato intorno allo 0,1%. In realtà, questi dati potrebbero anche non sorprenderci considerando che, nel 2014, ben 8 Paesi europei si sono trovati in quella situazione caratterizzata da un generale arretramento dei prezzi al consumo ben conosciuta come deflazione.
Anche a livello di BCE la preoccupazione per un prolungato periodo di prezzi stagnanti, o addirittura calanti, si tocca da tempo con mano. Non è certo un mistero che, nonostante le politiche monetarie espansive attivate da Mario Draghi, l’obiettivo di raggiungere una inflazione intorno al 2% appaia sempre più difficile da raggiungere. Anche l’ultimo bollettino della Banca Centrale Europea ha confermato che, a fronte dei rischi connessi alla ripresa economica ed a rischi di natura deflazionistica, ulteriori interventi espansivi potranno essere valutati nella prossima riunione di Dicembre.
Dunque, data la centralità del problema, può risultare opportuno fare alcune considerazioni sul perché una situazione di inflazione bassa o addirittura di deflazione venga guardata con grande sospetto sia dai mercati, che dalle Istituzioni economico-finanziarie. Il problema è che non ci troviamo in presenza di una bassa inflazione “buona”. In quest’ultimo caso, infatti, il contenimento dei prezzi deriva dagli effetti di variabili strutturali quali innovazioni tecnologiche, nuovi prodotti sostitutivi o dalla riduzione del costo di materie prime e del petrolio. Il tutto, però, calato in un contesto caratterizzato da una buona dinamica della produzione e da una crescita economica robusta.
Purtroppo la nostra è, invece, una bassa inflazione “cattiva”, figlia di otto anni di crisi, di una ripresa fragile, di una domanda intangibile, di consumi asfittici. E’ figlia di tassi europei di disoccupazione all’11%, che arrivano al 40% se si considera quella giovanile come accade in Italia, Spagna e Grecia.
Certamente, sulla debolezza dei prezzi al consumo incide senz’altro il basso costo del petrolio e di alcune materie prime. Tuttavia, anche depurando il dato sull’inflazione da queste variabili, rimaniamo ben lontani dal target del 2% indicato dalla BCE come livello necessario per alimentare una robusta ripresa. Dunque, nel nostro caso, la presenza di prezzi bassi e stagnanti indica che il volano dell’economia semplicemente non si è ancora rimesso in moto e che crescita, domanda e consumi languono inesorabilmente.
Se poi verremo risucchiati, come molti temono, in una spirale deflazionistica le cose, decisamente, si complicano. Infatti la deflazione – sempre quella “cattiva” che deriva da una stagnazione della domanda e dei consumi – è particolarmente pericolosa perché agisce sulle aspettative, sul “sentiment” degli operatori economici. Qualsiasi imprenditore che si aspetti una riduzione dei prezzi dei macchinari tenderà, al possibile, a rimandare l’acquisto di un nuovo impianto per la propria azienda. Analogamente, un padre di famiglia, in un contesto deflazionistico, tenderà a rimandare l’acquisto dell’auto confidando in un risparmio futuro.
Il problema è che, così facendo, si interrompe la “catena di trasmissione economica” e si genera una pericolosa reazione a catena. Il venditore di macchinari, a seguito del rinvio dell’acquisto, proverà ad abbassare ulteriormente i suoi prezzi alimentando così la spirale deflazionistica. E se non è sufficiente, finirà inevitabilmente per ridurre i propri consumi o per licenziare un dipendente alimentando così la stagnazione dell’economia.
In secondo luogo la deflazione è altamente pericolosa perché è subdola. Infatti, la deflazione non fa crollare l’economia, ma la narcotizza lentamente, senza shock e senza traumi, con la conseguenza che la pericolosità del suo movimento strisciante viene spesso sottovalutato sin quando non è troppo tardi. Dunque, se è vero che le aspettative di operatori e mercati assumono un ruolo fondamentale nel tentativo di uscire dalla spirale bassa inflazione/deflazione, ben vengano ulteriori interventi della BCE quali una riduzione dei tassi di interesse ed il varo di un Quantitative Easing 2.
Non bisogna tuttavia trascurare che gli stimoli monetari sono solo degli acceleratori in grado di imprimere una forte spinta iniziale al volano dell’economia. Il movimento successivo può essere impresso solamente dalle politiche e dalle riforme strutturali varate dalle Istituzioni europee e dai singoli Governi.
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