A ben vedere, il vero pericolo connesso al “leave” della Gran Bretagna non deriva né da un probabile calo del Pil inglese nel prossimo biennio (3-6%), né dalle possibili ripercussioni di questo dato sulla crescita dell’Unione Europea. Il punto su cui concentrare l’attenzione è invece costituito dal fatto che il verdetto inglese si è incuneato in uno scenario già pesantemente stressato da numerose variabili esogene. Basterà ricordare, a questo proposito, il mix micidiale composto dal rallentamento della crescita cinese e dalle ripercussioni di questo trend sulle economie dei Paesi emergenti. Senza dimenticare poi lo shock petrolifero inverso che, con i suoi prezzi troppo bassi, ha fatto saltare gli equilibri finanziari di paesi produttori quali il Venezuela ed il Brasile.
Ed è proprio in questo scenario che il Brexit ha iniettato nel meccanismo ciò che i mercati soffrono di più, ossia una pesantissima dose di incertezza. Ma la novità è che l’ondata speculativa che sta cercando di sfruttare il delicato momento non si è scaricata su titoli pubblici e spread come accaduto nel luglio 2012 quando la BCE bloccò a fatica un attacco speculativo concertato contro l’Euro. E questo grazie all’ombrello predisposto negli ultimi anni dalla Banca Centrale a protezione dei titoli pubblici dei paesi partner. Da ricordare, a questo proposito, il piano di emergenza OMT (varato nel 2012 e ancora mai utilizzato) che consente alla BCE, in situazioni di grave allarme, di acquistare in maniera praticamente illimitata titoli di stato dei paesi sotto attacco in cambio dell’adozione da parte di questi di un programma di risanamento approvato dalle istituzioni europee.
Questa volta, invece, la speculazione, preso atto dello scudo sui titoli di stato, ha individuato nei sistemi bancari europei l’anello debole della catena da attaccare in branco. E questo per almeno 5 ragioni:
1) i sistemi bancari “più mediterranei” hanno dovuto negli ultimi anni acquistare ingenti quantità di titoli del proprio Paese per sostenerne il debito pubblico; se la speculazione non riesce ad attaccare direttamente i titoli di stato a causa dello scudo della BCE, può attaccare le banche “contenitori” dei titoli;
2) la politica di tassi bassi (in certi casi anche negativi) attivata dalla BCE nel tentativo di rimettere in moto il volano dell’economia possono essere di stimolo nel breve periodo, ma, se protratti nel medio lungo, riducono strutturalmente la redditività degli istituti rendendo più fragili i sistemi bancari. In Europa le prime 20 banche evidenziavano nel 2007 ricavi da intermediazione creditizia per 700 mld contro gli attuali 430 mld.
3) Il mondo imprese, sotto i colpi di otto anni di crisi, ha generato nei sistemi bancari europei circa mille mld di crediti deteriorati. Particolarmente colpito il sistema bancario italiano che, essendo più dedito al credito alle piccole medie imprese che alla finanza, ha accumulato circa 350 mld di credito deteriorato di cui circa 200 mld di sofferenze lorde.
4) anche le banche tedesche ed inglesi, più dedite alla finanza e quindi meno toccate dal problema del credito deteriorato, iniziano ad evidenziare le loro debolezze per lo più connesse alla enorme nebulosa dei derivati presente nei loro bilanci. Basterà ricordare, a questo proposito, che Deutsche Bank ha in pancia derivati per 50000 mld di dollari (2000 volte la capitalizzazione della banca e 15 volte il PIL tedesco).
5) anche il meccanismo del “Bail – In” che coinvolge direttamente, a diverso titolo, depositanti e obbligazionisti nei default bancari ha contribuito ad aumentare la diffidenza dei risparmiatori verso questo settore rendendo gli Istituti di fatto più deboli ed esposti agli attacchi speculativi.
Ora, dato lo scenario descritto, in Europa si inizia (era ora) a parlare di una soluzione strutturale in grado di incidere sulle debolezze evidenziate così da ridurre l’esposizione dei diversi sistemi bancari alle continue tensioni speculative. E poiché, purtroppo, l’esperienza ci insegna che in Europa i cambiamenti davvero importanti si fanno solo se pressati da una grave emergenza, non ci resta che sperare che, grazie al Brexit, alle ondate speculative ed alle preoccupazione per il futuro, questa qui sia davvero la volta buona.
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