Pubblicato su: www.teleborsa.it
Non c’è dubbio che, almeno per il momento, i venti antieuropeisti si siano quietati grazie al risultato delle elezioni in Olanda ed alla netta (e non proprio scontata) vittoria di Macron sulla ultra nazionalista Marine Le Pen. Ma anche l’accordo preliminare raggiunto tra il governo greco e i creditori che probabilmente sbloccherà i fondi indispensabili per far fronte alla rata di Luglio (7,5 mld) ha il merito di smorzare le tensioni antieuropee sempre presenti sotto la brace. Certo esiste sempre la grande incognita Brexit, tuttavia il processo di uscita della Gran Bretagna, sicuramente nefasto per tutti, non produrrà conseguenze nell’immediato.
Il problema è che molti, guardando oltre lo scenario attuale, intravedono proprio nel nostro Paese una ottima fonte di instabilità per l’Eurozona. Ovviamente la causa di questo “allarme Italia” deriva dalla nostra instabilità politica abbinata al timore che, nella confusione generale, possano finire per prevalere le forze antieuropeiste con tanto di referendum anti–Euro.
Ma allora, se lo scenario e le preoccupazioni sono queste, potrebbe essere utile sfruttare questo momento di calma relativa per riflettere su alcune delle ripercussioni che la nostra uscita unilaterale dall’Euro potrebbe avere sia sul sistema bancario che sul tessuto imprenditoriale italiano. Ma prima è forse opportuno soffermarsi un attimo sul contesto reale in cui si concretizzerebbe lo “sganciamento rapido dall’Euro”.
Innanzitutto l’operazione dovrebbe svolgersi molto rapidamente e nella massima segretezza per evitare che voci incontrollate di un abbandono dell’Euro possano creare il panico fra risparmiatori ed investitori facendo collassare il nostro sistema bancario. Infatti, è facile immaginare che gli operatori non rimarrebbero indifferenti al rischio di trovarsi in mano una moneta svalutata tra il 30 ed il 40%. Nel caso contrario, ossia se la voce si spargesse anzitempo, le banche dovrebbero chiudere improvvisamente, sia per fermare l’emorragia di valuta, sia per procedere alla ridenominazione delle somme da Euro in Lire. Il conseguente panico, le file ai bancomat, ai distributori di benzina, i disordini di piazza li abbiamo già visti in Grecia ed a Cipro.
Il problema, appunto, è che in Italia, è facile immaginare che il segreto sull’operazione crollerebbe in pochi minuti tra liti di partito e politici intenti a mettere al sicuro i risparmi propri, dei familiari e degli amici.
La seconda riflessione è di natura macroeconomica e riguarda il fardello del nostro debito pubblico. E’ evidente che una ipotesi di fuga dall’Euro rischierebbe di mandare deserte le nostre aste di titoli pubblici. E con un debito di oltre 2200 mld che necessita di essere continuamente rialimentato al ritmo di circa 1 mld al giorno attraverso continue aste, è evidente che il rischio di un default sovrano diverrebbe altissimo. Con l’aggravante che, in uno scenario a rischio di avvitamento, Draghi e la BCE non otterrebbero mai il consenso politico per effettuare interventi straordinari a sostegno dei titoli pubblici italiani al di fuori di un eventuale dolorosissimo piano di salvataggio concordato a livello europeo.
La terza riflessione riguarda il settore bancario e le aziende. Infatti, le descritte tensioni a livello di stato derivanti dall’ipotizzata fuga dall’Euro si ripercuoterebbero immediatamente sulle nostre banche visto che queste ospitano nei loro bilanci circa 350 mld di titoli pubblici italiani. Innanzitutto i rating dei nostri istituti verrebbero declassati con parallelo inaridimento delle normali fonti di raccolta ed impennata del costo della raccolta. Subito dopo si assisterebbe ad un inevitabile forte rallentamento dei flussi di impieghi destinati alle nostre imprese.
E qui abbiamo un altro problema non da poco perché il tessuto industriale italiano, prevalentemente composto da piccole medie imprese, dipende finanziariamente per il 90% proprio dal sistema bancario. Questo fenomeno deriva dal fatto che le nostre aziende, proprio perché hanno potuto storicamente contare sul sostegno degli istituti, non hanno mai avuto la necessità di sviluppare fonti alternative al credito bancario quali l’immissione di maggiori capitali in azienda, la creazione di un efficiente mercato di obbligazioni corporate etc etc. Con l’aggravante che le nostre imprese si troverebbero a fronteggiare questa ipotizzata riduzione del supporto bancario proprio nel momento in cui annaspano a causa di 8 anni di crisi ininterrotta.
E allora, siamo proprio sicuri di voler affrontare questa avventura senza rete e cinghie di sicurezza?.
Torna all’elenco completo degli articoli: “Il punto sulla crisi”