Pubblicato su: www.teleborsa.it
Più o meno fino a tutto il 2012, non appena si tornava dalla pausa estiva, era necessario indossare gli elmetti e scendere nei rifugi perché tutti gli allarmi di natura economico-finanziaria iniziavano a suonare senza tregua. In particolare, lo spread in impennata, i tassi sui BTP al limite della soglia del “non ritorno”, gli improvvisi attacchi speculativi, nonché le sospette esternazioni delle tre sorelle del rating attendevano puntualmente gli italiani al rientro dalle ferie. Volendo utilizzare la scala cromatica attualmente usata per l’allarme antiterrorismo, tutta l’Europa (Italia e Spagna in particolare) si trovava allora in uno stato di allarme rosso (attacco in corso).
Forse solo dopo il 2015, a seguito di un biennio di transizione, l’Europa è entrata in una fase economico-finanziaria caratterizzata da un livello di allarme più moderato. Infatti, in questo periodo, grazie agli interventi non convenzionali varati dalla BCE di Mario Draghi, si è potuto assistere ad un progressivo rasserenamento dello scenario globale.
Questi interventi di natura monetaria, che probabilmente hanno costituito gli unici tentativi concreti di combattere la più grave crisi dell’epoca moderna, si sono mossi su due fronti. Da una parte hanno cercato di rimettere in moto il volano dell’economia facendo giungere alle imprese abbondanti flussi di credito a tassi estremamente contenuti al fine di stimolare gli investimenti e la ripresa. Dall’altra, consentendo alla BCE di acquistare titoli di stato dei Paesi europei (Quantitative Easing – QE), hanno creato un ombrello che ha protetto i Paesi sotto pressione da attacchi speculativi in grado di minare l’impalcatura stessa della Moneta Unica. Tuttavia, nonostante questo contesto decisamente più favorevole, la nostra economia non è mai riuscita a rimettersi effettivamente in movimento, a creare posti di lavoro, a sottrarsi alla spirale della crescita “zero virgola”.
Ebbene, forse oggi, per la prima volta da anni, gli italiani sono rientrati dalle vacanze in un clima economico diverso. Tutti i soggetti istituzionali hanno migliorato le stime sulla crescita del nostro PIL per il 2017 collocandole in una forchetta compresa tra l’1% dell’OCSE e l’1,4% di Banca d’Italia. Anche l’Istat conferma che a luglio 2017 la crescita tendenziale è pari all’1,5% e che quella al momento acquisita ha raggiunto l’1,2%, ben al di sopra delle previsioni.
Parallelamente, anche la fiducia di imprese e consumatori, sempre secondo l’Istat, è nettamente migliorata ad Agosto riportandosi a livelli quasi pre crisi. E’ dunque ora possibile abbassare la guardia e ridurre ulteriormente il grado di allarme sulla nostra economia? Probabilmente è prematuro per almeno due ordini di motivi.
- Anche se la nostra crescita mostra indubbi segni di vitalità, continua ad essere preoccupante il gap esistente nei confronti dei partner europei. Se è vero che rispetto al luglio 2016 il nostro PIL è cresciuto dell’1,5%, è anche vero che, nello stesso periodo, l’Unione Europea è cresciuta in media del 2,3%, la Spagna del 3,1% e la Germania del 2,1% . In pratica, pur crescendo, continuiamo tuttavia ad essere il fanalino di coda nell’ambito delle principali economie europee. In questo contesto sarebbero davvero guai se i nostri partner riuscissero ad accendere i motori delle loro economie e noi rimanessimo invece al palo incapaci di afferrare la ripresa per colpa dei nostri fardelli strutturali (debito pubblico, scarsa produttività, burocrazia, etc).
- Il consolidamento della nostra ripresa potrebbe essere rallentata dalla presenza di un super Euro che è cresciuto, rispetto al dollaro, del 15% da inizio anno. Infatti, l’attuale spinta al nostro PIL non deriva tanto da un incremento dei consumi interni, ma da una buona crescita dell’export (+9% nel primo semestre 2017). Risulta evidente, dunque, che un super Euro, rendendo più care le nostre esportazioni rivolte ai Paesi extra UE, potrebbe compromettere la nostra ripresa ancora fragile.
Da non sottovalutare, a questo proposito, che, qualora prevalesse la linea tedesca e si arrivasse ad una forte contrazione del Quantitative Easing della BCE, verosimilmente la moneta unica tenderebbe a rafforzarsi ulteriormente rispetto al dollaro. Infatti, l’allentamento del QE farebbe aumentare i tassi di interesse nella zona Euro in contrapposizione alla politica di tassi calanti avviata dalla FED. Ciò genererebbe un flusso di capitali dall’area Dollaro verso l’Area Euro che rafforzerebbe ulteriormente la moneta unica penalizzando, di conseguenza, il nostro export.
Dunque, forse, è troppo presto per decretare in Italia il “cessato allarme”. Anche perché non possiamo certo trascurare l’incognita “instabilità politica”, da noi sempre in agguato e perfettamente in grado di danneggiare pesantemente la nostra ripresa non ancora strutturale.
Tra l’altro, Olanda e Francia hanno passato senza incertezze il test europeista. Siamo proprio sicuri che saremo in grado di farlo anche noi in primavera?
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