Il punto sulla crisi – 123 / 2018: le minacce per le nostre aziende

Pubblicato su: www.teleborsa.it

Dopo aver gettato un’occhiata generale allo scenario economico-finanziario del nostro Paese (vedi Il punto sulla crisi n. 122 “Economia italiana: uno sguardo di inizio anno”), è forse opportuno concentrare ora l’attenzione sulle principali minacce che potrebbero attendere al varco la nostra economia e, segnatamente, le nostre imprese.

La prima di queste minacce è probabilmente costituita dagli effetti che le nuove “linee guida”, varate dalla BCE per garantire un drastico smaltimento del credito deteriorato, potranno avere sul tessuto produttivo. In particolare, destano notevole apprensione le proposte contenute nel cosiddetto Addendum che prevedono che i crediti deteriorati, qualora garantiti, debbano essere totalmente coperti dalle banche con accantonamenti entro 7 anni dalla loro entrata nello status di Non Performing Loans (NPL).

Per i crediti non supportati da garanzie reali, invece, detto periodo verrebbe drasticamente ridotto a soli due anni. Da evidenziare, per correttezza, che l’Addendum non interviene sulla copertura dello stock di NPL oggi in essere, ma sulle esposizioni, presenti e future, che dovessero assumere lo status di credito deteriorato dopo una data ancora da definire.

Ora, il problema è che queste proposte sembrano evidenziare, in linea generale, importanti punti di criticità. Ad esempio, in una fase economica caratterizzata da una crescita ancora non consolidata, interventi draconiani sulla regolamentazione dei crediti deteriorati possono impedire ai sistemi bancari dei Paesi più in affanno di supportare il tessuto produttivo. Infatti, automatismi quali quelli proposti dalla vigilanza possono comportare per le banche ulteriori accantonamenti e ulteriori richieste di patrimonializzazione incidendo, di conseguenza, sui flussi creditizi diretti alle aziende sia in termini di quantità che di costo del credito.

Se poi guardiamo alla nostra situazione, ci si accorge agilmente che le conseguenze delle nuove normative di vigilanza potrebbero essere più gravose per l’Italia che per gli altri Paesi. E questo per almeno 3 ordini di motivi.

Il primo riguarda il nostro PIL: sicuramente la crescita si va consolidando, ma, come ci ricorda la Commissione Europea, siamo ancora “in una fase di scatto leggero con prospettive di crescita moderate”. Comunque sia, rimane il fatto che cresciamo di più, ma sempre molto meno di tutti i principali partner europei.

Il secondo riguarda, invece, l’entità del fardello di credito deteriorato. Infatti, secondo i dati EBA al settembre 2017, l’Italia, nonostante gli importanti passi in avanti, ha ancora un rapporto NPL/impieghi pari al 12,2% contro una media europea del 4,2%. Peggio di noi solo la Grecia al 47% ed il Portogallo al 17%.

Il terzo aspetto riguarda invece il nostro sistema giudiziario ed il meccanismo fallimentare. L’ipotesi, prevista nell’Addendum, che un credito non garantito abbia un valore nullo dopo due anni dall’entrata nello status di deteriorato e che, quindi, debba essere integralmente coperto in quest’arco temporale con accantonamenti desta notevoli perplessità. O meglio, si tratta di una ipotesi sicuramente accettabile in altri Paesi europei, ma estremamente penalizzante per l’Italia. Infatti, le nostre serie storiche evidenziano percentuali di recupero dei crediti deteriorati di tutto rispetto, ma ottenute in tempi dilatati a causa dei malfunzionamenti del nostro apparato giudiziario/fallimentare.

Ora, è vero che questo è un problema che va risolto in Casa Italia, ma è anche vero che le norme di recente individuate (patto marciano, pegno non possessorio, riforma fallimentare, etc) possono dispiegare i propri effetti solo nel medio termine. Al contrario, l’impatto delle nuove normative di vigilanza sul sistema bancario e su quello imprenditoriale è pressoché immediato.

La seconda minaccia per le nostre aziende è strettamente connessa non solo alle dimensioni abnormi del nostro debito pubblico, ma, soprattutto, alla quantità di titoli sovrani ospitati nell’attivo delle nostre banche.

Al dicembre 2017 il sistema bancario italiano risultava essere al primo posto in Europa con ben 380 mld di titoli sovrani detenuti nei bilanci delle proprie banche. Da evidenziare, tuttavia, che questa situazione deriva dal fatto che il nostro sistema bancario è stato chiamato a raddoppiare tra il 2011 ed il 2012 la quota di titoli di stato posseduti (da 200 mld a 400 mld circa) al fine di fugare, in quei momenti drammatici, ogni minima incertezza sulla capacità dell’Italia di onorare puntualmente le scadenze del proprio debito pubblico.

Il punto è che oggi questa massa di BTP detenuta dalle nostre banche si sta trasformando da ancora di salvataggio in un boomerang. Infatti, la Germania ed i suoi accoliti sono tornati a puntare l’indice contro le banche “mediterranee” (in particolare italiane e spagnole) colpevoli di essere troppo vulnerabili al connubio rischio banca – rischio sovrano.

Già nel 2016 un rapporto elaborato dall’allora Presidenza di turno olandese aveva ipotizzato anche la possibilità di imporre alle banche un tetto fisso alla detenzione di titoli sovrani (si parlava del 25% del patrimonio della banca). In quell’occasione Mediobanca Securities stimò che, applicando il tetto, le principali banche italiane avrebbero dovuto scaricare circa 150 mld di titoli di stato con possibili ripercussioni sulla solidità patrimoniale delle banche e con tensioni al rialzo sui tassi dovuti ad una massiccia offerta di titoli sul mercato.

Allora l’iniziativa fu stoppata, ma, come detto, oggi tedeschi ed accoliti sembrano esser tornati alla carica sull’argomento nell’ambito delle serrate trattative per il varo definitivo dell’Unione Bancaria. Il vero rischio, dunque, è che il mix esplosivo composto dall’Addendum e da eventuali interventi sui titoli sovrani posseduti dalle banche possa ridurre e rendere più costosi i flussi creditizi verso le imprese, specie medio piccole, danneggiando così il nostro tessuto produttivo ancora in fase di fragile ripartenza.

Torna all’elenco completo degli articoli: “Il punto sulla crisi”

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>