Pubblicato su: www.teleborsa.it
Ma che fine hanno fatto i PIIGS? Il Portogallo (parte I)
E qui subentra il secondo punto di svolta che, tra l’altro, dovrebbe farci riflettere. Il governo Costa, ancorché di sinistra, non innesta la baionetta contro il precedente governo di destra guidato da Coelho che ha richiesto sacrifici inenarrabili alla popolazione, né contro la Troika fonte di ogni male. Decide, al contrario, di non smantellare acriticamente le misure prese nella prima fase di emergenza, ma di passare ad una seconda fase che, poggiando su fondamentali economici più stabili, sia in grado di accelerare la crescita della nazione. Costa diceva: “dobbiamo essere responsabili, l’Europa è un club in cui vengono rispettate le regole: non possiamo fare tutto quello che ci viene in testa”.
Di conseguenza, dal 2015, il nuovo governo non abbatte a picconate l’impalcatura precedente, ma elimina solo le misure più drastiche che si erano rese necessarie nella prima fase di emergenza. Così, ad esempio, si aumentano gli stipendi pubblici, si sostengono i minimi salariali delle fasce più deboli, si ripristina la 13° mensilità. In sostanza si cerca di dare una spinta ai consumi asfittici. Parallelamente, sul fronte imprenditoriale, il governo vara specifiche misure volte a favorire la ripresa del settore turistico, il risanamento delle infrastrutture e le ristrutturazioni immobiliari. Inoltre, nel tentativo di rimettere in moto il volano dell’economia, vengono previste incentivazioni fiscali volte ad attrarre in Portogallo stranieri e pensionati di fascia medio alta in grado di stimolare con la loro presenza la domanda interna di beni ed il mercato immobiliare.
Più in particolare viene prevista la categoria dei “residenti non abituali”. Rientrano in questa categoria quei soggetti che trasferiscono la loro residenza in Portogallo e vivono nel Paese almeno 6 mesi l’anno o che comunque dispongono di una casa che indichi una stabile presenza nel paese. A questi signori vengono concesse ampie agevolazioni fiscali come, ad esempio, la possibilità di approfittare di una flat tax del 20% sui redditi prodotti in Portogallo. Dunque nessun approccio ideologico, nessun allentamento generalizzato della spesa pubblica che viene anzi mantenuta sotto strettissimo controllo, nessuna misura tipicamente assistenziale.
Da evidenziare che, almeno inizialmente, queste misure espansive, attuate comunque da un governo comunista-socialista, avevano ingenerato forti preoccupazioni a livello di Unione Europea in quanto si temeva che ci fosse il rischio di una deriva populista nel controllo della spesa pubblica. Anche i mercati recepirono questa tensione e lo spread rispetto ai Bund tedeschi salì rapidamente a 350 bp. Tuttavia la solidità dell’impalcatura finanziaria costruita dal precedente governo nella fase dell’emergenza, abbinata alla progressiva percezione da parte dell’Europa che anche il nuovo governo si sarebbe mosso nel rispetto degli impegni di bilancio, allentarono la tensione riportando la situazione alla normalità. In sostanza il pericoloso e volubile “sentiment” dei mercati aveva dato fiducia al Portogallo.
E i risultati della complessa e dolorosa evoluzione sin qui descritta si vedono con chiarezza negli attuali dati economici. La crescita nel 2017 è stata del 2,7%, le previsioni indicano un +2,3% nel 2018 e, verosimilmente, si assisterà ad una crescita intorno al 2% fino al 2022! Si tratta di dati ben superiori alla media europea e circa doppi rispetto alle previsioni di crescita italiana. Inoltre, nel 2017, i consumi privati sono aumentati del 2,2% e si è assistito ad una forte ripresa del commercio con l’estero (+15% verso i Paesi extra UE; +13% verso paesi UE).
Sempre nel 2017 il tasso di disoccupazione, che costituiva negli anni precedenti la variabile più negativa, si è attestato all’8,9%. Oltretutto, le previsioni per il 2018 indicano una ulteriore discesa verso quota 8,2%, ben al di sotto della media europea (circa 9%). Infine il rapporto debito/PIL si è attestato nel 2017 al 126% e dovrebbe scendere al 124% nel 2018. Dunque una economia vivace ed in trend positivo.
E’ importante però evidenziare che l’evoluzione positiva della situazione economico-finanziaria portoghese non è solamente ascrivibile alle misure espansive del governo Costa. Piuttosto sembrerebbe derivare dal mix composto dalle misure di emergenza del governo Coelho che sono riuscite ad evitare che il Portogallo venisse risucchiato in una drammatica spirale, abbinate a quelle del premier Costa che ha potuto sfruttare il miglioramento dei fondamentali economici per spingere sull’acceleratore. Forse il punto vulnerabile del Portogallo, ancorché in uno scenario complessivo decisamente più confortante, rimane quello del Sistema bancario.
Anche in questo caso, come in quello italiano, poiché le banche mediterranee dedicano prevalentemente i propri impieghi al sostegno del tessuto imprenditoriale, dieci anni di crisi ininterrotta hanno riempito le banche portoghesi di un pesante fardello di credito deteriorato. Il problema è che questo fardello genera poi un circolo vizioso in quanto impedisce alle banche di sostenere le imprese, specie medio piccole, nel tentativo di uscire definitivamente dalla crisi. E infatti i dati relativi al 2017 evidenziano come il Portogallo abbia un rapporto NPL (credito deteriorato) su impieghi molto pesante pari al 15,2%. Peggio solo la Grecia con il 45% circa; segue, purtroppo l’Italia con l’11%. Tutti molto lontani dalla media europea attestatasi al 5%.
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