Il punto sulla crisi – 130 / Ma che fine hanno fatto i PIIGS? L’Irlanda (parte I)

Pubblicato su: www.teleborsa.it

Dopo aver esaminato l’evoluzione della situazione economico–finanziaria portoghese, appare opportuno spostare ora l’attenzione su un altro dei Paesi rientranti nel famigerato acronimo PIIGS, l’Irlanda. Lo scopo rimane quello di sfruttare l’esperienza vissuta da quei Paesi particolarmente toccati dalla crisi per non incorrere in grossolani errori nella gestione dell’attuale situazione.

Dalla fine degli anni ’90 al 2007 i prezzi degli immobili in Irlanda manifestano poderosi e continui incrementi con una punta nel 2006. In particolare, tra il 2000 ed il 2006, i prezzi delle case raddoppiano anche grazie ad un sistema bancario che, sul modello americano, spinge all’acquisto compulsivo di immobili garantendo, praticamente a chiunque, finanziamenti al 100%.

Il problema è che si tratta di un meccanismo che, per poter funzionare, non può avere un andamento stop and go: servono sempre nuovi mutui per alimentare il sistema che, ovviamente vengono concessi a soggetti sempre meno meritevoli. E’ come una grande fornace che, per non spegnersi, deve sempre essere alimentata con nuovo carbone.

Il sistema bancario dunque si arricchisce sulla speculazione immobiliare, ma diventa sempre più vulnerabile e dipendente da questo settore. Il varo di incentivi fiscali per l’acquisto di abitazioni e i media che spronano la popolazione a gettarsi nella folle corsa all’immobile completano il quadro. Nel 2007 un impiegato su nove lavora nel settore delle costruzioni che rappresenta ormai il 10% del PIL irlandese. Ovviamente la poderosa spinta del settore immobiliare surriscalda l’economia del Paese che nel periodo 1991-2001 cresce in media del 7% annuo.

In realtà gli allarmi non mancano. Già nel 2000 il FMI evidenzia in un report che il mercato immobiliare irlandese è verosimilmente destinato a collassare nel medio termine visto che nessun Paese industrializzato ha mai sperimentato tassi di crescita di quel genere senza subire poi un crollo. Nel 2005 l’Economist sostiene l’esistenza di una pericolosa bolla speculativa nel mercato immobiliare irlandese, mentre l’OCSE evidenzia che le proprietà immobiliari sono fortemente sopravvalutate.

E infatti, nel 2007, quando gli USA iniziano a mostrare un affanno finanziario, la speculazione individua proprio nell’Irlanda l’anello debole della catena ed inizia l’attacco in branco. E questo per almeno 4 ragioni: l’Irlanda ha un sistema bancario scarsamente protetto, un comparto dei mutui immobiliari poco regolamentato, una economia palesemente surriscaldata ed è molto permeabile ai rischi provenienti da oltreoceano. In una parola la Tigre Celtica è diventata molto vulnerabile.

Nel 2009 la bolla immobiliare esplode: negli anni seguenti i prezzi delle case crollano del 35%, a Dublino del 56%, ed i mutui calano del 73%. Ovviamente il sistema bancario, esposto sul settore oltre ogni limite prudenziale, collassa a sua volta trascinandosi l’intera economia irlandese. I dati sono eclatanti: il deficit pubblico schizza nel 2010 al 31% del PIL, la disoccupazione passa dal 4,5% al 14%, lo spread tra i titoli di stato irlandesi ed i Bund tedeschi vola senza argini oltre i 1000 bp. Parallelamente, il debito pubblico, poiché lo Stato di fatto si accolla i debiti del sistema bancario, esplode dal 25 al 125%.

Inevitabilmente il meccanismo si avvita e nel 2010, secondo Paese dopo la Grecia, anche l’Irlanda si arrende. Il premier Cowen chiede alla Troika (Fondo Monetario, BCE e Unione Europea) di attivare un piano di salvataggio: interviene così il Fondo salva stato EFSF che, insieme al FMI, concede un prestito all’Irlanda di 67,5 mld di Euro. Come nel caso della Grecia, anche qui il Memorandum che viene sottoscritto dall’Irlanda per essere salvata è durissimo.

Il piano del governo, vidimato dalla Troika, è imperniato su un drastico contenimento della spesa pubblica(con annessa riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici) e sulla messa in sicurezza del sistema bancario indispensabile per far ripartire l’economia. Parallelamente viene previsto un piano di privatizzazioni ed un forte incremento della tassazione dei privati che vengono colpiti dalla “Universal Social Charge“, una imposta supplementare per i redditi sopra i 12.000 Euro. Non viene invece toccata la tassazione storicamente favorevole per le imprese.

Torna all’elenco completo degli articoli: “Il punto sulla crisi”

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>