Pubblicato su: www.teleborsa.it
Un Paese, come l’Italia, che registra un debito pubblico pari al 126% del proprio PIL è, in ogni caso, un Paese che si trova in una delicata situazione di instabilità. Infatti, innanzitutto, si tratta di un soggetto condannato a cercare in eterno, tipo punizione dantesca, sempre nuovi soggetti disposti a rinnovare i titoli del debito pubblico in scadenza con nuovi titoli di Stato. Se attualmente non esiste più un concreto pericolo che nelle nostre aste l’offerta di titoli non venga coperta da una abbondante domanda, tuttavia non bisogna dimenticare che questo rischio si è sicuramente manifestato (ma mai, per fortuna, concretizzato) circa un anno fa nell’ultimo periodo del precedente governo.
In quei delicatissimi momenti, solamente il perfetto funzionamento della “macchina” del nostro debito pubblico – di cui dobbiamo essere particolarmente grati a Maria Cannata (il gestore del nostro debito) – ha permesso che non venisse mai meno nelle aste l’equilibrio tra domanda ed offerta di titoli, fattore che avrebbe determinato immediatamente un avvitamento della situazione già molto tesa. In quei momenti, infatti, tutti i fari dei mercati erano puntati sulle nostre aste dei titoli a lunga durata per cogliere anche il minimo indizio di una difficoltà a coprire il debito in scadenza, evidente indizio di un possibile default italiano: una cosa è dover pagar cara la nuova raccolta – fattore insostenibile nel lungo periodo – ed un’altra è non trovare acquirenti, fattore di grave rischio immediato! Il fatto che, grazie alla credibilità del presidente Monti, il descritto pericolo si sia allontanato, non vuole affatto dire che, in un eventuale scenario caratterizzato da instabilità politica e conseguente crollo della fiducia dei mercati e dei partner europei, il pericolo “aste” non possa nuovamente appalesarsi.
Un Paese, come l’Italia che, a causa di proprie deficienze strutturali ataviche, si muove ancora molto lentamente nonostante le misure varate dal Governo in materia di semplificazioni, di iniziative di sviluppo e di flessibilità sul lavoro, è ancora un Paese vulnerabile. Ed è vulnerabile perché la scarsa crescita è un fattore perfettamente in grado di impedire il puntuale rispetto degli obiettivi prefissati facendo percepire l’Italia, nuovamente, come l’anello debole della catena ed esponendola così agli attacchi coordinati della speculazione sistemica.
Un Paese, come l’Italia che solo ora, grazie agli ultimi decreti del Governo, ha deciso di non tollerare più l’arroganza, la corruzione, i costi, le malversazioni della politica è ancora un Paese a rischio perchè le crescenti tensioni sociali potrebbero ancora trasformarsi in tensioni di piazza con tutte le conseguenze immaginabili.
Ed allora, forse, un Paese ancora instabile a causa di un debito pubblico “monster”, ancora vulnerabile a causa della perdurante recessione ed ancora a rischio di forti tensioni sociali dovute alle aberrazioni della “casta”, non può ancora permettersi il lusso di essere guidato da un esecutivo puramente politico espressione di una maggioranza che sarà, verosimilmente, instabile e litigiosa. Probabilmente, l’Italia, almeno per il momento, ha ancora necessità di una guida tecnica, altamente credibile e di elevato standing internazionale, in grado di intervenire, anche a gamba tesa se indispensabile, in situazioni che la politica tradizionale non vuole o non può affrontare.
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