Pubblicato su: www.teleborsa.it
Mario Monti è sicuro che il peggio sia ormai alle spalle, il ministro Grilli è ottimista ed anche il prudente Mario Draghi, pur ribadendo che non siamo fuori dalla crisi, prevede una progressiva ripresa della crescita da metà 2013. Massimo rispetto per queste previsioni tuttavia, la profondità senza precedenti dell’attuale crisi e la sua capacità di “mutazione” ci hanno ormai abituati a guardare al futuro con grande prudenza. Anche perché, almeno per il momento, tutti i dati forniti dai principali osservatori economici e finanziari continuano ad evidenziare una situazione, sia europea che italiana, forse in miglioramento, ma sicuramente ancora in pericoloso affanno.
Infatti, a livello europeo, un recente bollettino della BCE ha evidenziato come l’area dell’Euro, avendo registrato negli ultimi due trimestri una doppia contrazione, si trovi nuovamente in uno stato di recessione conclamata, oltretutto destinata a peggiorare nel corso dell’ultimo trimestre dell’anno con effetti di trascinamento anche sul 2013. Da non trascurare, tra l’altro, che questo trend è accentuato anche dalla capacità della recessione di abbracciare progressivamente la locomotiva Germania che, non solo ha rallentato la sua corsa, ma ha anche evidenziato un calo della produzione industriale, una considerevole flessione dell’export ed una riduzione dei consumi interni.
Analogamente, per quanto riguarda l’Italia, la maggior parte delle previsioni evidenziano un PIL in contrazione anche per il 2013 con una “forchetta” che va dal -0,2% stimato dal governo al -1% contenuto nel recentissimo outlook autunnale dell’OCSE. Da parte sua l’ISTAT avverte che ad ottobre 2012 i disoccupati in Italia hanno raggiunto i 2,8 milioni con un tasso di disoccupazione globale schizzato oltre l’11% ed una disoccupazione giovanile che marcia verso il 37%. L’ovvia conseguenza è una previsione di un ulteriore calo dei consumi privati del 3,2% per il 2012 e dello 0,7% nel 2013.
Ma il vero problema è costituito dal fatto che più la ripresa si allontana temporalmente e più diventano pericolosi due fattori in grado, nel migliore dei casi, di rallentare l’uscita stessa dalla crisi, e, nel peggiore, di creare autentici shock al sistema economico globale.
Il primo fattore è costituito dalla situazione del settore bancario: tutti i dati più recenti mostrano come le banche siano sempre più strette in una morsa composta da margini reddituali in progressivo deterioramento e sofferenze in inarrestabile aumento balzate dai 50 mld del 2009 agli attuali 116 mld (+ 13% rispetto al 2011). Da evidenziare, a questo proposito, che l’onda lunga delle sofferenze è arrivata a colpire con decisione anche le banche piccole (prima meno toccate dal fenomeno) che hanno visto lievitare i crediti deteriorati dal 2% del 2006 all’8% del 2012. E poiché gli accordi di Basilea impongono alle banche forti vincoli patrimoniali ed importanti accantonamenti a fronte di questo credito deteriorato, risulta evidente come il sistema bancario, sempre più zavorrato, sia sempre meno in grado di supportare le imprese in difficoltà.
Il secondo fattore è, invece, di natura sociale: osservando i recenti accadimenti è facile accorgersi di come, in assenza di soluzioni, la tolleranza sociale alla crisi si stia riducendo di giorno in giorno. Infatti, mentre inizialmente si registravano scioperi ed ampie manifestazioni di piazza solamente in Grecia, in seguito la protesta si è estesa anche agli altri Paesi toccati dalla crisi quali Spagna, Portogallo ed Italia. Successivamente il malcontento popolare ha avuto una ulteriore escalation e si è trasformato da protesta generica contro l’austerity in protesta politica contro un sistema economico e finanziario considerato disequilibrato ed ingiusto; in questo modo ha potuto coinvolgere non solo altre componenti della popolazione degli stati “periferici”, ma ha potuto estendersi anche alla popolazione degli stati considerati virtuosi, quali Germania, Francia, Austria ed Olanda. Oggi alla protesta anti austerity ed a quella politica si sta aggiungendo quella, ancor più incisiva, proveniente direttamente dall’economia reale, dalle fabbriche che chiudono, dagli operai licenziati, dalla gente rimasta senza casa e stipendio.
Speriamo che Monti, Grilli e Mario Draghi abbiano ragione questa volta nel ritenere che il peggio sia alle spalle, perché l’impressione è che si stia progressivamente formando, a livello sociale, una miscela davvero esplosiva.
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