Pubblicato su: www.teleborsa.it
Risulta del tutto evidente che se scattassimo oggi una fotografia alla situazione economica e finanziaria del nostro Paese e la confrontassimo con quella scattata intorno a Novembre 2011 potremmo tirare, d’istinto, un bel sospiro di sollievo. Non c’è paragone, infatti, tra la situazione di allora – caratterizzata da mercati in avvitamento, totale perdita di fiducia nella nostra capacità di reazione e raid speculativi – rispetto al momento attuale. Dunque la bonaccia che spira oggi sui mercati, la linea Maginot eretta (ma non ancora collaudata) da Draghi a difesa dell’Euro, lo spread sceso sotto i 250 punti, dovrebbero consentirci di guardare con una certa tranquillità all’evoluzione della situazione economico – finanziaria sia dell’Area Euro che del nostro Paese.
Tuttavia, nonostante queste premesse, non riesco ad essere realmente tranquillo e mi appare quindi opportuno abbinare ad un cauto ottimismo (che non guasta mai) alcune riflessioni relative ai possibili scenari ed ai conseguenti rischi che potrebbero manifestarsi nel nostro prossimo futuro.
Innanzitutto non sono tranquillo perché la situazione dei Paesi in crisi conclamata è ancora ben lungi dall’essere risolta. Grecia, Portogallo, Irlanda, ancora saldamente stretti nella morsa tra rigore di bilancio e crescita asfittica, hanno decisamente rallentato la loro marcia verso la normalizzazione e non mi sentirei affatto di escludere la possibilità che possano rendersi necessari ulteriori interventi di sostegno comunitario. Ovviamente ciò rende questi Paesi, anche dal punto di vista delle tensioni sociali, potenziali focolai di infezione in grado di contagiare rapidamente anche gli altri stati deboli (noi in primis). Da non trascurare, a questo proposito, che la morsa tra crescita inesistente e necessità di rigore non riguarda solo i citati Paesi in evidente difficoltà, ma va progressivamente stringendo nelle proprie spire anche gli altri stati dell’Area. Come si ricorderà, Spagna, Francia ed Olanda hanno richiesto a Maggio all’Eurogruppo di poter rinviare il raggiungimento dei target di deficit predefiniti nel tentativo disperato di stimolare una crescita ancora assolutamente inconsistente.
La seconda considerazione riguarda, appunto, la crescita asfittica, la stagnazione, le difficoltà di far ripartire i consumi. E, sinceramente, neanche da questo punto di vista sono particolarmente tranquillo nonostante i proclami inneggianti alla “fine della crisi” che hanno accompagnato la pubblicazione dei dati macroeconomici relativi al 2° trimestre 2013. Infatti è vero che il PIL dell’Eurozona è cresciuto dello 0,3% ed è tornato in territorio positivo dopo ben sei trimestri consecutivi di calo, è vero che la Germania e la Francia evidenziano sintomi di accelerazione, tuttavia questi dati appaiono derivare più da fatti contingenti (aumento dell’export verso gli emergenti) che da una vera inversione di tendenza trainata da una stabile ripresa dei consumi interni. Tra l’altro la fragilità del miglioramento ipotizzato è ben evidenziato anche dalle recentissime previsioni del FMI che stimano per il 2014 una crescita del PIL al di sotto dell’1% (e quindi soggetta a scivolare facilmente in territorio negativo) in tutti i principali stati europei, ad eccezione della Germania Ma, soprattutto, non son tranquillo per la delicatezza della situazione italiana, ancora una volta fanalino di coda della crescita europea ( PIL in calo dello 0,2% anche nel secondo trimestre 2013 con previsione di chiusura 2013 a – 2%). Infatti, nel nostro caso, dobbiamo aggiungere alla crudezza dei numeri indicati sia la sostanziale impossibilità di stimolare la crescita allargando i cordoni della borsa (debito pubblico verso il 130% e deficit al limite), sia la dilagante instabilità politica. A questo proposito, non sarà affatto facile per noi affrontare gli importanti appuntamenti comunitari autunnali quali la presentazione della Legge di Stabilità ed i nuovi “stress test” sulle banche con un Governo traballante ed ostaggio delle fazioni.
Non vorrei che guerrieri teutonici, speculazione e società di rating stessero già affilando le armi.
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