Pubblicato su: www.teleborsa.it
Non c’è dubbio che siamo anni luce lontano dal quel drammatico novembre 2011, quando lo spread sfondò quota 575 ed i rendimenti su tutta la gamma dei nostri titoli superarono quota 7% (Bot oltre l’8%), tuttavia esistono alcuni buoni motivi che ci sconsigliano di abbassare la guardia e di considerare come totalmente superata l’emergenza Italia, anche a fronte di uno spread che ormai si muove intorno a quota 180.
Innanzitutto, questa crisi ci ha abbondantemente dimostrato come l’avvitamento della situazione di un Paese derivi sia dal peggioramento “matematico” degli indicatori economici finanziari, sia dall’andamento del “fattore S“, ossia dal “sentiment” che i mercati (intesi in senso ampio) nutrono per un determinato Paese. Ovviamente questo fattore è strettamente connesso a variabili non quantitative quali le previsione sull’evoluzione degli scenari macro, la tenuta sociale del Paese, la stabilità politica, la capacità di raggiungere i target concordati attraverso riforme strutturali etc. Se spostiamo indietro le lancette dell’orologio al novembre 2011, ci si accorge agevolmente che l’avvitamento della situazione Italia non derivò affatto da un crollo degli indicatori economico – finanziari (non molto diversi rispetto ai mesi precedenti ), ma nel rapidissimo deterioramento della fiducia dei mercati nel nostro Paese (il “fattore S”, appunto) dovuto al totale discredito calato sul governo e sul leader di allora.
Ciò premesso, se riportiamo le lancette ai nostri giorni, potremmo affermare che l’Italia si trovi oggi in una delicata posizione di “equilibrio instabile“. In questa situazione, l’equilibrio dipende (contrariamente al novembre 2011) proprio dal “fattore S“, ossia da uno scenario europeo molto meno sotto pressione, dalla posizione “avvenieristica” assunta dalla BCE di Draghi e dai cenni di ripresa a livello europeo che contribuiscono a rasserenare gli animi. La nostra instabilità deriva, invece, dal fatto che in questi ultimi due anni, molti indicatori economici hanno proseguito il loro trend negativo e non mostrano, a tutt’oggi, di avere raggiunto un punto di inversione. Basterà ricordare, a questo proposito, l’andamento del nostro Pil che crescerà poco e niente anche nel 2014, una disoccupazione in trend crescente che ha raggiunto a fine 2013 quota 12,7% ed un debito pubblico che ha sfondato quota 131%. Il problema è che non è affatto chiaro fino a che punto “il fattore S”, riuscirà a “puntellare” la nostra situazione. Il grosso rischio è che, qualora “l’esperimento Renzi” non dovesse decollare e dovesse sopraggiungere un nuovo periodo di stallo politico con conseguente impossibilità di gestire i nostri conti e di agganciare la fragile ripresa, si creerebbe, inevitabilmente, un mix esplosivo composto da indicatori economici in peggioramento e da un “fattore S” (leggi fiducia nell’Italia) in rapido deterioramento.
E gli accadimenti del novembre 2011 hanno evidenziano con chiarezza quanto il “fattore S” sia divenuto, in questi anni, molto reattivo, instabile e poco controllabile e, quindi, estremamente pericoloso.
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