Pubblicato su: www.teleborsa.it
E’ evidente che il dato Istat di maggio, che evidenzia un PIL relativo al 1° trimestre nuovamente in territorio negativo (-0,1%), non può essere considerato alla stregua di un “disastro ecologico“, tuttavia si tratta di un dato da non trascurare e che, forse, merita alcune riflessioni.
La prima riguarda la fragilità della nostra situazione: se si scorrono le previsioni del governo e delle principali istituzioni internazionali (OCSE, Commissione europea, FMI), ci si accorge che la forchetta relativa al nostro PIL previsionale è contenuta, per il 2014, tra lo 0,8% del Governo e lo 0,5 dell’OCSE, mentre, per il 2015 la forchetta va dall’1,3% del Governo all’1,1% del FMI. Si tratta, dunque, di una crescita asfittica (tra l’altro puntellata dalle previsioni ottimistiche del Governo) ben al di sotto di quella necessaria per migliorare i rapporti deficit/ PIL e debito/PIL come richiesto a livello europeo.
E’ importante sottolineare, a questo proposito, che, per abbassare significativamente la curva relativa del nostro debito, sarebbe necessario generare un saldo primario del 5% ed una crescita del PIL del 3%. Se si considera che il nostro avanzo primario (comunque migliore di quello di numerose altre nazioni) si aggirerà nell’attuale biennio tra il 2,5 ed il 3,5% e che le proiezioni della nostra crescita evidenziano un forte gap anche rispetto al target indicato dal governo, direi che abbiamo sicuramente un problema. E, in questo scenario, quel -0,1% di PIL indicato dall’Istat certamente non ci aiuta.
La seconda riflessione riguarda, invece, il “sentiment” del mercato, fattore, rivelatosi di primaria importanza nel corso dell’attuale crisi. Da questo punto di vista il ritorno del PIL in territorio negativo non è in grado né di scoraggiare gli investitori né di spaventare i mercati, tuttavia, potrebbe instillare in questi ultimi una dose di dubbio e di incertezza riguardo la nostra reale capacità di uscire dalla crisi in tempi accettabili. E con la mole di debito pubblico che dobbiamo rifinanziare ed i circa 80 miliardi di Euro di interessi da pagare annualmente, il problema non è certo di poco conto. Da non trascurare, inoltre, che questa difficoltà di far ripartire l’economia finisce per determinare una ulteriore contrazione dei consumi, generando, in uno scenario deflazionistico, un macro circolo vizioso che rallenta notevolmente l’uscita dalla crisi.
Paradossalmente, due sono per noi i motivi di consolazione: il primo deriva dal fatto che, con l’eccezione della Germania (+0,8% di crescita), quasi tutta l’Eurozona ha evidenziato, nel periodo in esame, una crescita decisamente inferiore alle previsioni. Il secondo è connesso al fatto che i dati in esame non hanno evidenziato una ulteriore espansione della frattura esistente tra Paesi “core” e Paesi “mediterranei”, visto che la Francia è rimasta ferma, l’Olanda ha fatto registrare un -1,4%, la Finlandia un -0,4%, mentre la Spagna ha evidenziato un +0,4%.
Guai se, in uno scenario così delicato ed instabile, i dati economici di maggio avessero certificato una nostra conclamata incapacità di afferrare la ripresa a fronte di una crescita ampia e generalizzata degli altri partners europei.
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