Pubblicato su: www.teleborsa.it
Forse, finalmente, dopo parecchi anni di illusioni e delusioni, qualcosa inizia davvero a muoversi nello scenario economico europeo ed italiano. Infatti, posto che il nostro debito pubblico si ostina a non dare segnali di cedimento e che il rientro dal deficit si dimostra ogni giorno più complesso, tuttavia, non vi è dubbio che il fattore “S” (il Sentiment), ossia la fiducia dei mercati nelle prospettive del nostro Paese, sia radicalmente migliorato rispetto al passato anche recente. Ed è proprio in questo contesto, così diverso dallo scenario da “grande paura” del settembre 2011, che calano gli ultimi dati economici: uno spread sotto i 100 bp come non accadeva dal 2010, i rendimenti dei nostri BTP all’1,35%, Istat e Confindustria che prevedono per il primo trimestre 2015 il ritorno alla sospirata crescita, qualche segnale positivo sul fronte dell’occupazione con 130.000 posti in più rispetto al gennaio 2014. E, soprattutto, un minimo di fiducia in più sul nostro futuro come evidenziato dall’indice di fiducia di consumatori ed imprese elaborato dall’Istat a febbraio.
Da considerare, tra l’altro, che quest’ultimo segnale assume particolare rilevanza nell’attuale contesto caratterizzato dalla presenza di una “deflazione cattiva” (ossia derivante da una contrazione dei consumi). Infatti, da una situazione stagnate quale la nostra attuale, si esce solamente nel momento in cui imprenditori e consumatori riacquistano fiducia sul futuro del Paese e riprendono ad investire ed a spingere sui consumi interni.
Parallelamente, anche a livello europeo, non sono mancati alcuni segnali decisamente positivi. Più in particolare, la Commissione Europea ha dato il via libera alla nostra finanziaria 2015 e, considerando la difficile situazione macroeconomica, non richiederà l’apertura di alcuna procedura di infrazione per deficit eccessivo nei nostri confronti. Inoltre, riconoscendo gli ingenti sforzi fatti dal governo Renzi sul fronte delle riforme strutturali, non ha neanche ritenuto di raccomandare all’Italia l’adozione di specifiche manovre aggiuntive. Dunque, in base a quanto sin qui detto, possiamo finalmente rilassarci, levarci gli elmetti e sbarrare i rifugi che ci hanno ospitato fin dall’inizio della crisi nel 2008?
Direi che, probabilmente, è ancora troppo presto per abbassare la guardia essenzialmente per due motivi. Il primo è che l’importante discesa di spread e rendimenti dei BTP non deriva ancora da una ripresa consolidata dell’economia, ma dagli interventi di natura straordinaria attivati dalla BCE e dalle aspettative ad essi connesse. Più in particolare, come noto, Mario Draghi, è riuscito, nonostante la strenua resistenza tedesca, ad accendere un “buster” che imprimerà verosimilmente all’asfittica economia europea una indispensabile accelerazione.
Il problema è che un “buster” di natura monetaria quale il Quantitative Easing può senz’altro dare all’economia una determinante spinta iniziale, ma non è in grado, come sempre ricordato da Draghi, di risolvere i problemi strutturali da anni presenti nell’attuale scenario macroeconomico. Più concretamente, se al momento dell’inevitabile spegnimento del “buster” l’economia non sarà ripartita grazie ad interventi strutturali attivati dai Governi europei, probabilmente anche l’ultima occasione per uscire in tempi rapidi da questa crisi sarà stata sprecata.
Il secondo motivo per cui non possiamo abbassare la guardia è invece connesso alla crisi Greca. Infatti, la situazione ellenica, potenzialmente molto destabilizzante, è ben lontana da una concreta soluzione. A ben vedere il Governo Tsipras, nonostante quanto propagandato, ha solamente ottenuto il rinvio di 4 mesi del “giudizio universale” in cambio della presentazione di un semplice elenco di riforme, tra l’altro bollato come assai vago da BCE e FMI.
Il vero problema è che entro breve la Grecia si troverà stritolata tra promesse elettorali non mantenibili e l’assoluta necessità di rimborsare in pochi mesi a Banche Centrali, investitori, BCE e FMI debiti per ben 17 mld. E’ chiaro che, qualora non si riuscisse a raggiungere in tempo utile un improbabile accordo con i partner europei, il mix esplosivo composto da profonde tensioni interne e dalle conseguenze di un mancato rispetto degli impegni finanziari, sarebbe perfettamente in grado di destabilizzare l’area dell’Euro e di far abortire, ab initio, la fragile ripresa appena generata dagli stimoli monetari della BCE di Mario Draghi.
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